12 Ago Favorire EVOLUZIONE, APPRENDIMENTO e SVILUPPO: cosa ci dicono le neuroscienze e come metterlo in pratica.
L’evoluzione, l’apprendimento e lo sviluppo rappresentano una parte fondamentale della nostra vita, sia come individui sia come società. Si tratta di fenomeni che non riguardano solo i bambini, ma che proseguono e sono fondamentali – con caratteristiche e necessità diverse – per tutta la vita.
La curiosità, la conoscenza, lo sviluppo di nuove competenze sono radicati in noi, rappresentano modalità adattative che abbiamo sviluppato in secoli di evoluzione. Fanno parte di quelli che abbiamo definito Comportamenti Evolutivi (trovi ulteriori riferimenti in altri articoli sul blog e nei libri The Switch – La Scienza del Cambiamento e Evoluzione, Adattamento, Fisiologia).
Le recenti scoperte neuroscientifiche su questi temi hanno messo in luce aspetti molto interessanti che prima non conoscevamo, anche portando significative implicazioni pratiche. Quanto ne siamo consapevoli e le stiamo sfruttando a nostro vantaggio? I sistemi educativi, dai fondamenti della scuola d’infanzia ai più sofisticati training per adulti, come si sono mossi finora? Stiamo tenendo in debita considerazione come sono evoluti il pensiero, l’apprendimento, i processi decisionali, la cultura e le relative basi neurobiologiche? Vediamo di approfondire.
Emozione e Razionalità: amici o nemici?
Emozioni e cognizione sono due aspetti strettamente interrelati. Ad essere precisi, per quanto sia utile distinguerli per studiarli adeguatamente e fare chiarezza, non è possibile tenerli di fatto separati. Le emozioni, infatti, includono processi sensoriali e cognitivi. Allo stesso modo gli aspetti cognitivi implicati nell’educazione e nello sviluppo – come apprendimento, memoria, processi decisionali, motivazione e funzionamento sociale – sono influenzati dalle emozioni e – a loro volta – sono parte integrante dei loro processi. Le emozioni richiedono la percezione di un attivatore emotivo rilevante (una situazione reale o immaginaria) che ha il potere di attivare un’emozione e i suoi correlati fisiologici che attivano cambiamenti nel corpo e nella mente. Questi cambiamenti nella mente – che includono, tra le altre cose, la focalizzazione di attenzione, il richiamo di memorie rilevanti, l’apprendimento di associazioni tra gli eventi e le loro conseguenze – sono tutti processi fondamentali per l’educazione, l’apprendimento e lo sviluppo. In questa analisi dobbiamo considerare che il pensiero razionale e il ragionamento logico totalmente privi di emozioni possono (molto difficilmente) esistere in determinate condizioni sperimentali. Nel mondo reale, tuttavia, non è possibile usarli appieno e in modo efficace senza emozioni. Esiste una grande area di sovrapposizione tra cognizione ed emozione. Si tratta di meccanismi che riguardano l’apprendimento, la memoria e il decision-making, sia in ambito individuale che sociale. Solo questo tipo di interazione complessa è in grado di sostenere il pensiero in tutta la sua ricchezza: creatività, innovazione, intelligenza sociale, presa di decisioni etiche e motivazione, solo per fare alcuni esempi.
I fattori in gioco (e quelli interferenti)
Aree cerebrali, stress e ormoni
Ci sono diverse aree cerebrali che concorrono in questi processi ed è estremamente affascinante come la scrittura e il recupero dei ricordi siano fortemente influenzati da organi e neurotrasmettitori che elaborano e mediano anche le risposte emotive.
Ad esempio adrenalina, noradrenalina e cortisolo sono tra gli ormoni che si attivano nelle risposte di adattamento all’ambiente, dallo stress fisiologico all’esperienza traumatica. Quantità eccessive (o troppo scarse) di questi neurotrasmettitori possono alterare significativamente la nostra capacità di memorizzare e ricordare.
Organi come amigdala, ipotalamo e ippocampo svolgono un ruolo centrale nella regolazione delle risposte emotive e sociali. Al contempo “taggano” i ricordi in modo da favorirne il corretto processamento e facilitarne il recupero.
L’iper- o ipo-stimolazione di questi organi ne altera il funzionamento. Questa stimolazione non funzionale può dipendere da eventi stressanti o traumatici, ma anche da sovraccarico sensoriale o cognitivo (basti pensare a come interagiamo con le informazioni e i social network per capire quanto stiamo alterando questi processi rispetto alla fisiologia per cui si sono sviluppati e adattati fino a un decennio fa).
Il potere profondo delle emozioni
Anche le relazioni hanno un ruolo in questi processi. Ad esempio l’educazione tipica della cultura occidentale si concentra su aspetti individualistici e competitivi, che non rispettano la predisposizione “sociale” del nostro cervello rispetto all’apprendimento.
In quanto mammiferi ci siamo evoluti nel tempo con organizzazioni sociali fondamentali alla nostra sopravvivenza e sviluppo, a partire dal nucleo familiare, passando per i gruppi di pari, fino ad associazioni, gruppi lavorativi, ecc.
Ci sono specifici meccanismi affettivi, emotivi e mentali che sostengono il nostro attaccamento reciproco, la fiducia, l’inclusione e la cooperazione. Si tratta di modalità vincenti e vantaggiose nella maggior parte dei casi.
In un gruppo ben consolidato tutti hanno vantaggio e piacere a partecipare. Questo è valido per gli umani così come per i mammiferi da branco, con cui condividiamo – non a caso – molte strutture e processi neurobiologici che mediano questi meccanismi. La nostra cultura purtroppo non ha tenuto in grande considerazione questi aspetti, favorendo di contro atteggiamenti individualistici rispetto all’apprendimento e alla performance.
Il gioco è alla base dell’apprendimento naturale, invece la nostra cultura punta sulla serietà e sul dovere come fattori motivazionali di partenza, mentre devono essere appresi dalla sperimentazione e dall’esempio perché non siano vissuti come coercizioni.
Non solo, anche rispetto al ruolo dei leader del gruppo spesso non si seguono i meccanismi neurobiologici innati a nostra disposizione. In natura, infatti, il capo branco ottiene il riconoscimento per valore dimostrato, non viene imposto.
Genitori, educatori, insegnanti, manager quanto tempo ed energie investono nell’essere riconosciuti meritevoli del loro ruolo?
Sembra faticoso? Lo può sembrare perché non siamo abituati a farlo, ma è sicuramente meno faticoso di urlare, scontrarsi, sfidarsi e rimanere delusi.
Oltre il Pensiero verbale
Spesso la modalità che noi tendiamo a considerare più logica ed efficace, il pensiero verbale, in realtà non lo è.
Le emozioni partono da una percezione sensoriale, spesso visiva, ma non solo. Comunque non-verbale in prima battuta. Dargli un nome e un pensiero può voler dire dargli forma, ma anche rallentarla e limitarne i confini.
Il nostro pensiero è ben più di quel flusso di parole a cui siamo abituati da adulti.
Fin da piccoli pensiamo per immagini e sensazioni. Entrambi i livelli hanno una complessità e una ricchezza di sfumature che le parole possono solo in parte rendere. Di contro un sistema che semplifichi e velocizzi la capacità di rappresentazione è necessario per comunicare, per valutare e decidere in tempi brevi.
Diventa allora fondamentale trovare un punto di incontro tra i vantaggi del pensiero verbale e di quello per immagini e sensazioni.
Una buona mediazione è data dalle mappe visive e concettuali, già molto diffuse dagli anni ’70. Queste mappe “ripuliscono” l’eccessiva verbosità del pensiero, ma agiscono ancora su un piano molto cognitivo.
Per sviluppare la massima espressione comunicativa e favorire una rappresentazione completa, rapida ed efficace di pensiero, emozioni e relazioni, negli ultimi anni abbiamo sviluppato una modalità chiamata Pensiero Ideografico.
Si tratta di uno strumento trasversale, che può essere usato per studiare, prendere appunti, sviluppare un progetto in gruppo, analizzare un caso complesso, comunicare in modo efficace.
L’idea di base è di sfruttare la potenza comunicativa di linee, colori e forme in un modo che sia alla portata di tutti, senza bisogno di competenze artistiche. Piuttosto si punta su un sistema rappresentazionale intuitivo innato che abbiamo tutti: infatti la comunicazione iconica ha contribuito al grande successo di Apple e Windows in passato e degli smartphone negli ultimi anni, senza che nessuno dovesse spiegarci che una bustina rappresentava i messaggi.
La forza del corpo
In questi dialoghi tra fattori emotivi e cognitivi giocano un ruolo centrale anche gli aspetti corporei. La modificazioni della tensione muscolare, ma anche percezioni sensoriali (dalla temperatura ai sapori) possono creare e sostenere sensazioni in grado di modificare il pensiero-emozione.
Questi processi possono essere sfavorevoli, ma anche usati attivamente per favorire il raggiungimento dei nostri obiettivi. Abbiamo approfondito questo tema in un articolo precedente che trovi qui.
Inseguire le scelte veramente razionali
Solo attraverso un’analisi congiunta della sinergia tra emozioni e pensieri è quindi possibile capire bene come funzionano e come favorire i meccanismi di apprendimento, educazione e sviluppo.
Spesso il desiderio educativo più ambizioso è quello di insegnare a qualcuno a fare le scelte giuste.
Prima ancora sarebbe corretto capire come decidiamo noi, quanto siamo veramente razionali e consapevoli dei passaggi che facciamo per arrivare a una decisione. Ad esempio ci sono numerose ricerche che dimostrano come la valutazione di un evento morale come l’incesto avvenga in modo rapido e inconsapevole, mentre solo in un secondo momento vengono cercate le evidenze razionali per giustificare la posizione presa.
Per chi decide il passaggio dalla fase 1 alla fase 2 è così veloce da non essere percettibile, ma gli strumenti di indagine neuroscientifica identificano bene questo stacco, che in altre scelte non è presente.
La nostra capacità di decidere è influenzata dalla presenza degli altri, anche se talvolta in modo inconsapevole. In altri casi ancora la sola forma linguistica con cui viene posta una domanda cambia la nostra scelta. Ci sono anche altri fattori, ancora meno intuibili, dove mente ed emozioni devono collaborare per non cadere in inganno.
Facciamo un esempio reale di vita quotidiana: avete sottoscritto l’abbonamento a una rivista di recente? Se si, probabilmente avrete notato una proposta strana, ad esempio: versione digitale a 10 euro, versione cartacea a 14 euro, versione cartacea e digitale a 14 euro.
Sembra una proposta assurda: se solo il cartaceo ha lo stesso prezzo del cartaceo e del digitale nessuno lo comprerà, perché mai offrirlo?
Ecco la risposta.
Se si offrono queste due possibilità: digitale a 10 euro e cartaceo (con o senza digitale) a 14 euro; mediamente aderiranno il 80% degli abbonati alla prima offerta (digitale) e il 20% alla seconda.
Se si offrono queste tre possibilità: digitale a 10 euro, cartacea a 14 euro, versione cartacea e digitale a 16 euro; nessuno (o quasi) sceglierà la terza opzione, mentre le altre due scelte avranno preferenze simili al caso precedente.
Ma se infine si propone: digitale a 10 euro, versione cartacea a 14 euro, versione cartacea e digitale a 14 euro; nessuno sceglie la seconda proposta, mentre le altre due invertono le percentuali, circa il 30% sceglie il solo digitale, mentre il 70 sceglie l’opzione mista.
Cosa succede? Un elemento apparentemente inutile (una proposta meno bella allo stesso prezzo di quella più vantaggiosa) permette di rendere più attraente quella di stesso prezzo più completa.
È un processo razionale? Direi di no, ma è quello che è successo nella realtà alla campagna abbonamenti di riviste come The Economist, NY Times, ecc. Queste informazioni possono farvi scegliere più liberamente la prossima volta che sottoscrivete un abbonamento… ma provate a pensare come usarle in modo attivo per fare scelte importanti, favorire la decisione in gruppo, aiutare qualcuno resistente al cambiamento, uscire da un conflitto comunicativo o altre situazioni di stallo.